Leonardo da Vinci in Romagna

da | Gen 1, 2018

Nell’estate 1502, Cesare Borgia, figlio naturale del Papa Alessandro VI e noto anche col nome di «Duca Valentino» (era stato nominato Duca di Valentinois dal Re di Francia Luigi XII), ha ormai terminato appena ventisettenne la riconquista della Romagna, strappandola alle ultime signorie che la dominavano ancora formalmente in nome della Chiesa. Subito dopo, lo spregiudicato e valente condottiero deve preoccuparsi di dotare questo territorio con aggiornate infrastrutture civili e militari. Il diffondersi delle armi da fuoco rendeva inoltre necessaria una completa revisione delle fortificazioni. Il primo ingegnere di Cesare Borgia in Romagna è probabilmente un tale Maestro Francesco Spezante, ricordato dal cronista cesenate Giuliano Fantaguzzi come colui che tra l’altro, verso agosto dell’anno 1501, volea condurre le barche dal Cesenatico a Cesena, realizzando una sorta di naviglio. La carriera dello Spezante al servizio del Borgia terminò però bruscamente nell’aprile del 1502, quando l’ingegnere, mentre tentava di modificare il corso del fiume Savio, provocò un autentico disastro con la morte di alcuni uomini, e fu dunque prima incarcerato e poi allontanato.

È in questo momento che Cesare Borgia richiede l’intervento di Leonardo da Vinci. I due si erano già conosciuti a Milano nel 1499, al tempo della venuta del Re di Francia Luigi XII che aveva appena conquistata la città, dove Leonardo prestava servizio alla corte di Ludovico il Moro. Dopo un breve periodo a Venezia, dove aveva progettato fortificazioni contro i Turchi, Leonardo era poi tornato a Firenze. Cesare Borgia, del quale Niccolò Machiavelli notava che ha cappato i migliori uomini d’Italia, non poteva lasciarselo sfuggire; e d’altra parte lo stesso Leonardo era in attesa di proporre le sue competenze di «artista» – nel senso ampio e rinascimentale del termine – a qualche uomo di governo in grado di apprezzarle pienamente. Il Borgia deve essere sembrato anche a lui, come accadrà poi a Machiavelli, l’uomo giusto al momento giusto, e così, dal luglio 1502, troviamo Leonardo già insieme al Valentino; l’investitura sarà però «ufficializzata» solo con la lettera patente rilasciata il 18 agosto del medesimo anno. In questo documento – scoperto e pubblicato solo nel 1792 – è ben chiarito il compito che il Valentino affidava a Leonardo, definito suo «Architecto et Ingegnero Generale»: egli doveva «vedere, mesurare, et bene extimare», allo scopo di «considerare li Lochi et Forteze e li Stati nostri, Ad ciò che secundo la loro exigentia ed suo iudico possiamo provederli». Una ricognizione, dunque, al fine di individuare e progettare quelle opere militari e civili che avrebbero consolidato la signoria del Valentino in Romagna e permesso una efficace difesa contro i numerosi nemici esterni ed interni. L’entusiasmo del Valentino viene vivacemente descritto dalle parole del cronista Fantaguzzi, il quale al settembre 1502 annota che «El duca a Imolla stava in festa e gratava el celo con le unghe, insatiabille de regno, e danzava in maschara e schoperto, fortunato, contento e di gran bona voglia; e volea fare a Cesena: palazo, canale, rota, studio, zecha, piaza in forteza, agrandare Cesena, fontana in piaza, duchessa, corte a Cesena, fare el porto Cesenatico et finalmente farse re de Toschana et poi imperator de Roma con castello santo Angello». Cesena, con tutta probabilità designata dal Borgia come sede della corte, ebbe così in quel periodo la migliore occasione per divenire quella «capitale» che la Romagna, terra da sempre policentrica, non ha mai avuto. La «fortuna» del Borgia, però, come quella del neonato ducato romagnolo, era destinata a declinare tanto rapidamente quanto fu veloce l’ascesa del giovane condottiero: ancora il Fantaguzzi annota che il Valentino, «non abiando bene ferma la rota, de’ volta e trabucollo col capo di sotta che prima». Leonardo, che oltre a sapere cogliere le leggi della natura era altrettanto abile ad interpretare i mutamenti politici, riuscì a slegarsi in tempo dalla rovina del Valentino, lasciando allo stato di semplici studi e annotazioni progetti ed interventi che avrebbero probabilmente segnato l’aspetto delle città romagnole oggetto della sua ricognizione.

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